CAVE E SCALPELLINI A ISOLA DEL PIANO
Girando per le vie di Isola del Piano, visitando i suoi palazzi e le sue chiese, osservando attentamente infissi, altari, scalinate, pavimenti e camini, balza subito agli occhi la forte presenza di qualificati interventi da parte di scalpellini attivi nel passato. Poiché non esistono più botteghe artigiane, né sono tuttora in attività cave storicamente certe, è stato necessario affrontare la nostra ricerca sia attraverso le fonti scritte, sia servendoci delle testimonianze orali, delle quali cercare però i possibili riscontri.
Alla fine del nostro percorso ci è stato possibile gettare un po’ di luce su entrambi gli argomenti oggetto della presente ricerca. Parlando del proprio paese, così scriveva Don Giovanni Amicucci nel 1969: “L’industria maggiore e di certa importanza, proveniva, nei secoli scorsi, dalle cave di Pietra, ora del tutto sfruttate”.
Egli non documenta questa sua affermazione, ma la dà come risaputa, come ovvia, come scontata nella sua Isola del Piano. Certamente la memoria dei suoi compaesani anziani era in grado, leggendo una simile frase, di tornare indietro nel tempo fino alla loro giovinezza, grazie alle proprie esperienze dirette, nonché ai racconti degli anziani, che spostavano ancora più indietro fatti, personaggi, eventi, tutti collegati all’attività delle cave, alla lavorazione della pietra e all’uso dei suoi derivati.
La qualità della pietra delle Cesane era nota fin dal medioevo, ma probabilmente le cave più importanti e significative furono scoperte nel XV secolo, tanto che il grande architetto senese Francesco di Giorgio Martini, che aveva eseguito precise ricerche, ne parla nel suo Trattato di Architettura (lib.1, cap. VII) e Bernardino Baldi riprendendo quasi alla lettera i giudizi, così insistette sulla qualità di questa pietra: “La seconda specie di pietra è, come si disse, quella della Cesana. Questa parimente è bianchissima, e si cava da un monte che è vicino alla città dalla parte di levante. Questo si chiama la Cesana, forse dal cavarsi le dette pietre; cioè, come dicono i Latini, a caedendo. La natura di questa pietra è delicatissima, e pare spezie di marmo. È sparsa questa da alcune vene di colore azzurro, delle quali si lodano le più sottili e minute, per essere divisa dalle maggiori la continuità della pietra. Queste non sono però atte a resistere all’ingiuria de’ tempi e particolarmente de’ ghiacci; e perciò si adoperano solamente nelle opere che devono stare al coperto; come camini, finestre, porte ed altri ornamenti simili. Due difetti, però, ha questa pietra: l’uno che per essere, come dicono gli scalpellini vetriuola, facilmente si spezza; l’altro perché, per la superbia come disse Vitruvio, della bianchezza facilmente viene ottenebrata ed oscurata dai fumi: e ciò non solamente nella superficie, ma tanto dentro ancora, quanto passa dentro l’umidità che porta seco la negrezza del fumo. Se gli scalpellini che la posero in opera nel palazzo la lustrassero o no, non si sa, tuttoché le porte ed i lavori che vi si vedono siano assai lustri; certa cosa è però, ed esperimentata da’ maestri del nostro tempo, ch’ella piglia il lustro non altramente che si faccia di marmo. Di questa pietra sono fatti gli scalini delle scale, all’uso de’ quali per trovarsene alcune fila sottili, serve molto comodamente.