CLIMA
Il macroclima della provincia di Pesaro e Urbino è classificabile come caldo temperato, rispecchia quello mediterraneo.
Dei 4 tipi mesoclimatici provinciali (sublitoraneo, subcontinentale, subcontinentale di transizione e subcontinentale caldo), il comprensorio del versante Nord Est delle Cesane rientra nel mesoclima “Subcontinentale di transizione” in quanto compreso fra il clima “sublitoraneo” della costa adriatica ed il clima “subcontinentale” delle zone interne.
La temperatura media annua, considerate sul il triangolo d’osservazione Fossombrone – Urbino -Bargni di Serrungarina, pur variabili con l’altitudine e le esposizioni, è di 13° C.
La temperatura media nel periodo estivo si aggira dai 20° ai 28° (con punta massima a Fossombrone il 18.06.1971 di 41°); la temperatura media nel periodo invernale si aggira dai 2° ai 7° (con punta minima sempre a Fossombrone il14.01.1966 di –14°). Non sono rare le gelate invernali associate, a volte a neve (presente per 9 ÷ 10 gg./anno); si registrano gelate anche nel mese di aprile.
Le piogge sono a cavallo fra i regimi delle piogge equinoziali (localizzato lungo il 45° parallelo N., caratterizzato con la concentrazione di piogge in primavera ed autunno) e solstiziali (caratterizzato da precipitazioni nel periodo invernale ed estati aride).
In base ai dati risalenti nel trentennio 1930 –1960, le precipitazioni della zona sfiorano la isoietta dei 1.000 mm./annui; Fossombrone ha un valore medio di 983 mm./a., Urbino di 882 mm./a., Bargni di 910 mm./a., misurazioni dirette eseguite sulla Cesana, ma ad una altitudine di m. 640 s.l.m., nel periodo 1930 ÷ 1960 rinvenute presso l’Osservatorio “Valerio” di Pesaro così distinguono le precipitazioni medie del periodo:
Periodo 1930 ÷1960 |
Media in mm |
Gennaio | 83 |
Febbraio | 81 |
Marzo | 65 |
Aprile | 80 |
Maggio | 87 |
Giugno | 61 |
Luglio | 51 |
Agosto | 58 |
Settembre | 116 |
Ottobre | 123 |
Novembre | 99 |
Dicembre | 130 |
Media Annua | 1034 |
Media Mensile | 86 |
* Nel trentennio in esame per dieci anni in luglio non è piovuto.
Da dati risalenti al periodo 1960-1981, forniti dal Servizio Idrografico del Ministero dei Lavori Pubblici, si ha una media di precipitazioni riferite a Bargni di 882,8 mm e Urbino di 868,1 mm; questi dati indicano un calo medio delle precipitazioni di circa 21mm. in 25 anni.
La neve è presente raramente, nel periodo invernale ricopre le superfici, mediamente, per 10’12 giorni. Così come per la nebbia ma questa ha carattere intermittente, durante la giornata.
I venti dominanti provengono da Est Nord-Est (in zona detto “levantino”), da non trascurare nei periodi siccitosi i venti caldi da Sud: Scirocco e Libeccio (in zona chiamati genericamente “curina”). La loro velocità è moderata grazie anche alla zona in quanto ben riparata.
SITUAZIONE BOTANICO-VEGETAZIONALE
La zona in esame è già stata interessata in passato dalla presenza antropica che ha in parte contribuito a mutare il naturale equilibrio esistente. L’attività estrattiva vera e propria è tuttavia cessata da decenni, in questo periodo la natura ha avuto modo di riappropriarsi parzialmente del suo habitat naturale, seppur parzialmente modificato. Restano come testimonianza del passato i vecchi fronti di cava, i gradoni ed i resti detritici (in altre zone chiamati ravaneti) occupanti in forma caotica il versante a valle a ridosso del Fosso del Tinaccio.
Sotto il profilo delle associazioni vegetali presenti, l’intera zona del fosso del Tinaccio, situata sul versante settentrionale del complesso montuoso della Cesana, offre in uno spazio ristretto tutta una serie di aspetti di transizione vegetale, sia in senso altitudinale, sia relativamente all’esposizione, sia soprattutto alla disponibilità di profilo del suolo.
In particolare, le formazioni presenti vanno ascritte al gruppo delle caducifoglie termofile. Tra le specie ivi insistenti quali la Roverella (Q. pubescens), il Carpino nero (O, carpinifolia), l’Orniello (F. ornus), l’Acero campestre (A. campestre), l’Acero trilibo (A. monspessulanum), i Sorbi (S. torminalis – S. domestica), il Nocciolo (C. avellana), si assiste per altro ad un comportamento ed ad uno sviluppo diverso tra i vari versanti e le varie quote del sito che merita di essere analizzato in quanto ne deriva, proprio per la parte interessata all’escavazione, una differente valutazione del soprassuolo ai fini della ricomposizione ambientale.
Il versante di cava con esposizione sud, è colonizzato in massima parte dalla Roverella la cui densità è crescente da valle ( quota 350 s.l.m. ) verso monte ( quota 410 s.l.m. ); al contrario il Carpino nero è più frequente in senso decrescente. L’Orniello è presente soprattutto sui suoli minerali dei vecchi fronti di cava, sono sporadici l’acero campestre ed il nocciolo. Oltre a tale distribuzione in senso altitudinale della vegetazione occorre altresì evidenziare una gradazione da Ovest verso Est sullo stesso versante in ordine alla fertilità del suolo e dalla conseguente possibilità di sviluppo di un popolamento forestale. Si rivela infatti una netta riduzione del profilo disponibile nella porzione centrale del versante che si origina ad Ovest in corrispondenza di una soluzione di continuità della pendice corrispondente al limite catastale tra le particelle n°47 e 69 e termina ad Est con l’attuale limite delle cave. L’area così delimitata mostra visibilmente una ridottissima capacità evolutiva, confermata peraltro dai dati ricavati dall’area di saggio effettuata.
La fase di sospensione delle attività estrattive ha permesso la creazione sui detriti di cava di condizioni favorevoli per un rinverdimento naturale ad opera quasi esclusiva di specie arbustive quali la Ginestra (S. junceum), il Rovo (Rubus sp. pl.), lo Scotano (C. coggyria), la Vescicaria (C. arborescens), la Rosa canina (Rosa sp. pl.) e la Coronilla (C. emerus).Per maggiore completezza si rilevano nell’area delle ex cave un Ailanto di proporzioni arboree, alcuni semenzali appartenenti a specie diverse quali Carpino nero, Orniello, Ciliegio ( P. avium), Pino nero (P. nigra) e Albero di Giuda (C. siliquastrum).
Sulle pareti quasi verticali dei fronti di cava abbandonati è alquanto difficile rilevare la presenza di insediamenti vegetali spontanei.
Nella zona a monte dell’area descritta e nell’intorno superiore, la situazione vegetazionale assume quel lento processo di successione ecologica, essendo un bosco che, seppur stentatamente, ha preso il posto del magro pascolo e dell’ancor più scadente seminativo (si veda a proposito la qualità di coltura catastale rispettivamente di 3ª e di 5ª classe, prima della variazione colturale). In detta zona si notano due olivi abbandonati, un tentativo di rimboschimento antropico poco ecocompatibile anche con conifere non indigene (Pino nero) e un area, attorno ad un appostamento fisso di caccia, dove sono state forzatamente immesse una serie di piante per attirare gli uccelli in transito.
Sul fianco delle vecchie cave, verso monte, il bosco ha raggiunto caratteristiche di stabilità per quanto riguarda lo stato evolutivo complessivo ma, il mollisuolo su cui insiste non ha quelle caratteristiche da permetterne una buona crescita, dando al bosco caratteristiche e prospettive di accrescimento modeste.
L’intervento graverebbe sia sull’area delle vecchie cave che sul area sovrastante intaccando anche lo stentato bosco esistente. Nella prima fase andranno sacrificate solamente specie arbustive costituenti un cespugliato piuttosto disorganico, data la matrice detritica su cui radica; nella seconda invece andrà abbattuta una superficie boscata pur di scarso interesse botanico e di ridottissimo valore biologico per quanto concerne la capacità di organicazione e di sviluppo, visti i dati di accrescimento; la ridottissima valenza biologico-ambientale, è dovuta proprio all’impossibilità di una evoluzione profonda del suolo su cui è radicata.
Tenuto conto che la zona si presenta con un modesto strato di terreno vegetale di copertura e che nella porzione delle cave abbandonate si rilevano affioramenti rocciosi in pareti con forte inclinazione sull’orizzontale, è alquanto difficile rilevare la presenza di insediamenti vegetali spontanei. E’ possibile riconoscere una certa concentrazione soprattutto dove è scivolato terreno vegetale da monte, con conseguente riempimento degli anfratti della roccia.
Di tutto il versante dei Monti delle Cesane, il sito in oggetto si può ascrivere in assoluto tra i meno dotati di soprassuolo ed i meno interessanti sia biologicamente che per l’economia silvana.
È stato effettuato, durante un rilievo di campagna, un saggio per una larghezza di mt. 12,5 ed una profondità di mt. 50, lungo la strada del Fosso del Tinaccio. Da analisi effettuate sui campioni è risultato che:
– il terreno risulta non ideale per ospitare vegetali in quanto costituito principalmente da carbonato di calcio, silicati e magnesio; informalmente la pietra calcarea oggetto di interesse economico è composta da carbonati di calcio (92,57%), silicati di alluminio (SiO2 + Al2O3 rispettivamente col 4,72 e 1,1 %), ossido ferroso ( Fe2O3 al 0,71%), ossido di magnesio ( MgO al 0,51%) e tracce di altri minerali ossidati;
– il pH è prossimo alla neutralità;
– nel suolo (eccetto calcio e magnesio) la concentrazione degli elementi nutritivi è insufficiente;
– la capacità di scambio catodico (c.s.c.) è molto bassa, è necessario l’apporto di sostanza organica;
– la capacità di ritenzione idrica è scarsa a causa della fratturazione principale e secondaria.
Ai fini silvo – colturali sono emersi i seguenti dati su una superficie di 625 mq.:
Area basimetrica totale | 1,21 m³ | Massa dendrometrica | 11,04 m³ |
Altezza media delle ceppaie | 1,50 ml | Ceppaie | n.° 224 |
Piante isolate | n.° 976 | Altezza media delle piante isolate | 1,8 ml. |
OPERAZIONI DI RINVERDIMENTO
Premesso che non sono necessarie opere complesse di ingegneria naturalistica perché le condizioni ambientali, morfologiche e statiche non le richiedono, si opta per una soluzione poco onerosa piuttosto semplice ed efficace in quanto sufficiente allo scopo: la microgradonatura con taglio delle teste di gradone, riporto di inerte e terreno vegetale e successivo rinverdimento e piantumazione. Considerando l’habitat dell’ecosistema come parte dell’ecomosaico circostante complessivo.
Esaminate e preso atto delle caratteristiche botanico – vegetazionali del sito, si provvederà alla scelta delle specie da impiantare una volta completata la sistemazione morfologica. Nella prima fase non verranno utilizzati esemplari esattamente dello stesso tipo di quelli naturalmente insediate in loco, ma specie pioniere caratterizzate da un elevato grado di rusticità e di adattabilità, da buona capacità colonizzatrice e da notevole frugalità. Le stesse contribuiranno a rendere più fertile e ricco in sostanza organica il substrato, così da facilitare l’attecchimento delle specie arbustive ed arboree messe a dimora in un secondo tempo. Non tralasciando il rapporto ecologico tra la flora e la fauna locale, permettendo a quest’ultima di procurarsi agevolmente i frutti per l’alimentazione.
A monte dovrà, preventivamente, essere eseguito un fosso di guardia per l’incanalamento delle acque meteoriche, così come dovranno essere fatti dei fossi lungo il versante ricomposto con pendenze ridotte al fine di evitare ruscellamenti. Allo stesso modo non si debbono permettere i ristagni d’acqua.
Tenendo conto che nelle zona soggette a dilavamento le leguminose tendono a dominare sulle graminacee che preferiscono pendenze che non superano il 30%, il piano di ripristino all’uso botanico – forestale prevede:
– predisposizione e concimazione del terreno,
– semina di piante erbacee, arbustive pioniere nella zona dove è terminata l’attività estrattiva;
– piantumazione di specie arbustive ed arboree sulle superfici del versante ricreato;
– interventi agronomici di mantenimento durante le fasi di attecchimento e sviluppo.
L’intervento vegetazionale verrà quindi attuato per fasi funzionali, sfruttando anche le nicchie che sulle quali è stato lo stesso terreno vegetale preesistente e lasciate irregolarmente in corrispondenza delle scarpate abbandonate.
Verranno inoltre realizzati scavi o fosse per procedere alla messa a dimora delle specie arboree solo quando l’evoluzione del suolo, ad opera del manto erboso seminato, sarà avvenuta.
Per garantire la riuscita delle opere di rinverdimento si dovranno migliorare le caratteristiche pedologiche di abitabilità del suolo. A tal fine si provvederà nel mese di Febbraio, nelle aree sistemate definitivamente, ove è concluso il riporto di terreno vegetale, a partire dalle quote più elevate, alla distribuzione di 20 ÷ 25 ton./ ha di letame maturo quale fertilizzante naturale organico ottimo generatore di humus.
La fertilizzazione organica non dovrà superare le dosi indicate perché notevoli apporti di nutrienti minerali, se da un lato favoriscono un più rapido sviluppo delle piante, dall’altro provocano il deperimento dei vegetali nel caso in cui negli anni successivi le concimazioni non vengano ripetute. Se il suolo è concimato in superficie , inoltre, le piante tendono a non approfondire l’apparato radicale. Al fertilizzante sopra indicato potrà essere utile aggiungere paglia o altri residui colturali preventivamente triturati (paciamatura).
Con tali materiali si cercherà di aumentare il contenuto in sostanza organica, favorire l’attività microbiologica ed in generale migliorare le proprietà fisico – chimiche del suolo. Il letame potrà essere anche con altri fertilizzanti organici di origine animale (pollina, liquame). Negli anni successivi e fino all’ultimazione dei lavori di recupero o ricomposizione ambientale, le operazioni colturali sopradescritte saranno ripetute nelle aree successive ove la sistemazione morfologica è avvenuta.
Non è essenziale ed opportuno che lo strato continuo di terreno vegetale da stendere sui versanti rimodellati abbia spessori eccessivi (max 20 ÷ 30 cm.), per tre motivi principali:
1) si può creare uno strato di scivolamento, mentre è utile una sua disposizione nelle nicchie e negli anfratti della roccia e dello sterile riportato;
2) si registrerebbe la tendenza delle piante a sviluppare l’apparato radicale nell’ambito dello strato fertile superficiale, venendo meno così lo scopo di consolidamento del terreno;
3) il ridotto quantitativo di terreno vegetale naturale preesistente.
Di contro la stesura di terreno vegetale, dello spessore di 30 ÷ 50 cm., potrà essere effettuata nell’area di raccordo (conoide) di fondo, per favorire ed accelerare gli inerbimenti.
SEMINA DELLE PIANTE ERBACEE E ARBUSTIVE
Le semine saranno effettuate preferibilmente nel periodo Settembre ÷ Marzo (Marzo per le sementi) utilizzando un miscuglio vario di questi semi.
Gli effetti positivi dell’inerbimento sono legati ad un immediato, anche se parziale, recupero visivo, e ad una attiva difesa del suolo da parte della cotica erbosa che si realizza attraverso:
a) attività biologica specifica della associazione erbacea che favorisce la formazione della struttura glumerulare stabile del suolo e la manifestazionedi un grado elevato di coesione e resistenza al trasporto delle particelle;
b) azione meccanica di trattenuta svolta dalle radici;
c) aumento della porosità e permeabilità istantanea con conseguente diminuzione del flusso superficiale delle acque, della velocità di scorrimento edell’azione di ruscellamento;
d) intercettazione delle piogge da parte della copertura vegetale;
e) traspirazione dell’acqua di cui è impregnato il suolo da parte della vegetazione nei periodi in cui essa è sovrabbondante.
L’inerbimento, inoltre, permette che il terreno, protetto dagli ambienti atmosferici, possa gradualmente evolversi, ricostruendo un orizzonte organico sufficientemente fertile per l’attecchimento delle specie cespugliose ed arboree
L’idrosemina non viene presa in considerazione in quanto la pendenza di rilascio del versante non è eccessiva e comunque analoga al pendio naturale preesistente, questo è uno dei motivi salienti che caratterizzano in senso positivo la particolare validità del sito per fini estrattivi.
Verrà eseguita la semina a spaglio con un miscuglio composto per il 90 ÷ 92% in peso da semi di piante erbacee e per il restante da semi di piante arbustive. Le sementi erbacee saranno costituite per il 70% da graminacee e per il 30% da leguminose; frà le graminacee, la gramigna è la specie più importante per la sua elevata adattabilità in terreni ed ambienti difficili. Ad integrare le varietà provvederanno sementi autoctone, reperibili al momento, ad esempio effettuando sfalci di erbe indigene portanti semi maturi, da distribuire al momento delle semine.
Fra gli arbusti verranno impiegati principalmente i pionieri quali: la Ginestra (S. junceum), il Rovo (Rubus sp. pl.), lo Scotano (C. coggyria), l’Asparago spinoso (Asparagus acutifolius), il Biancospino (Crataegus monogyna), la Vescicaria (C. arborescens), la Rosa canina (Rosa sp. pl.), il Ginepro comune (Juniperus communis) e la Coronilla (C. emerus).
PIANTUMAZIONE DELLE SPECIE ARBOREE
La messa a dimora di alberi avverrà almeno un anno dopo lo sviluppo della cotica erbosa e delle specie pioniere. Verranno utilizzate specie autoctone principalmente: Roverella (Qurcus pubescens), Carpino nero (Ostrya carpinifolia), Orniello (Frxinus ornus), Ginepro comune ( Juniperus communis), il Ginepro rosso (Juniperus oxycedrus) anche, in piccola quantità Nocciolo ( C.avellana), Acero campestre (Acer campestre), Acero Napoletano (Acer otusatum), Ciliegio canino (Prunus mahaleb) , Sorbo comune (Sorbus domestica), e il Maggiociondolo (Laburnum anagyroides). Verranno piantumate a ragione di 1.280 per ettaro, con disposizione a mosaico non regolare, mantenendo la disposizione mista caratteristica dei luoghi circostanti. Gli arbusti in prossimità delle specie arboree daranno l’impressione di maggior naturalità. Gli arbusti, specie nella parte bassa del versante avranno una maglia irregolare e tendenzialmente rada.
Il reperimento delle specie arboree ed arbustive avverrà autonomamente con l’impianto di piccolo vivaio gestito dal personale della ditta che vi opera che, in questo settore ha pochissimo da imparare da altri. Saranno utilizzati principalmente fitocelle autonome per garantire maggiori capacità di attecchimento.Il rapporto tra specie arboree ed arbustive sarà di 1: 5 tenendo conto che molti arbusti nasceranno dalle semine
INTERVENTI AGRONOMICI DI MANTENIMENTO
Durante la fase di attecchimento e sviluppo, soprattutto nei primi anni dalla piantumazione, effettuare interventi di sostituzione o di diradamento della flora; le fitocelle degli alberi dovranno essere ripulite mediante sgombro dell’erba circostante con azioni manuali o, meglio, con pacciamatura manuale con paglia di frumento o corteccia. La manutenzione dovrà essere costante..
ECOLOGIA
Posizione baricentrica rispetto il territorio provinciale. L’impatto dovuto ai trasporti si riduce in quanto il sito proposto è il meno lontano dalle principali zone di utilizzazione dei materiali e nel contempo è posto nelle vicinanze delle direttrici stradali Fossombrone – Fano e Urbino – Pesaro tramite la circonvallazione di Gallo di Petriano. Ciò comporta la riduzione dei consumi energetici (carburante e ossigeno dell’aria) e la riduzione delle emissioni, obiettivi primari per la salvaguardia dell’ambiente, se si tiene conto che a ogni litro di gasolio impiegato nella combustione si debbono associare circa 22 metri cubi d’aria da cui scaturiscono circa 54 metri cubi di scarichi. Il fatto non è trascurabile, dato che un autocarro ogni 2,8 Km. consuma un litro di gasolio.